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Paternò Castle — Attraction in Paternò

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Paternò Castle
Description
Nearby attractions
Collina storica di Paternò
Via dei Normanni, 1, 95047 Paternò CT, Italy
Steps of the Matrix
Via dei Normanni, 95047 Paternò CT, Italy
Station Paterno
Via S. Marco, 95047 Paternò CT, Italy
Nearby restaurants
Ottavo Senso
P.za Umberto, 19/20, 95047 Paternò CT, Italy
Ristorante Scuto
Via Maurici, 15, 95047 Paternò CT, Italy
Pizzeria Rimini
Via Gian Battista Nicolosi, 361/B, 95047 Paternò CT, Italy
Maluburger
Via degli Studi, 14, 95047 Paternò CT, Italy
..
V. Circumvallaz, 329, 95047 Paternò CT, Italy
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Affittacamere Palazzo Galifi
Piazza Armando Diaz, 1, 95047 Paternò CT, Italy
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B&B Rocca degli Etnei
Via Fonte Maimonide, 9/a, 95047 Paternò CT, Italy
Agriturismo Gianferrante
Contrada Gianferrante, 95047 Paternò CT, Italy
Dimora dei Normanni Bed and Breakfast
Via Clarenza, 6, 95047 Paternò CT, Italy
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Paternò Castle things to do, attractions, restaurants, events info and trip planning
Paternò Castle
ItalySicilyPaternòPaternò Castle

Basic Info

Paternò Castle

Via dei Normanni, 95047 Paternò CT, Italy
4.3(336)
Open 24 hours
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spot

Ratings & Description

Info

Cultural
Scenic
Family friendly
Accessibility
attractions: Collina storica di Paternò, Steps of the Matrix, Station Paterno, restaurants: Ottavo Senso, Ristorante Scuto, Pizzeria Rimini, Maluburger, ..
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comune.paterno.ct.it

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Steps of the Matrix

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Ottavo Senso

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Pizzeria Rimini

Maluburger

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Ottavo Senso

Ottavo Senso

4.1

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Ristorante Scuto

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4.3

(95)

$$

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Pizzeria Rimini

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4.4

(194)

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Maluburger

Maluburger

4.5

(328)

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Reviews of Paternò Castle

4.3
(336)
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5.0
7y

simbolo della città, la torre faceva parte di un castello fatto edificare nel 1072 dal Gran Conte Ruggero per garantire la protezione della valle del Simeto dalle incursioni islamiche. Il castello fu assegnato alla figlia di Ruggero, Flandrina, sposa dell'aleramico Enrico di Lombardia. Attorno al castello e al piccolo borgo la popolazione iniziò a crescere grazie ai numerosi mercenari al seguito dei conquistatori normanni e all'arrivo di coloni provenienti dall'Italia settentrionale attirati dai privilegi a loro concessi. Il primo nucleo del maniero fu ben presto ampliato e dalle primigenie funzioni prettamente militari fu utilizzato per usi civili, divenendo la sede signorile della Contea di Paternò che Enrico VI di Svevia assegnò nel 1195 al nobile di origine normanna Bartolomeo de Luci2 consanguineo del sovrano svevo. Il Castello negli anni seguenti ospitò re e regine, tra i quali Federico II di Svevia, la regina Eleonora d'Angiò e la regina Bianca di Navarra. E per concessione di Federico II passò a Galvano Lancia. Il castello di Paternò e i territori sottoposti, infatti, furono inseriti nella cosiddetta Camera Reginale che venne costituita da Federico III d'Aragona come dono di nozze alla consorte Eleonora d'Angiò e che poi venne ereditata dalle Regine che si susseguirono, sino alla sua abolizione. Dopo il 1431 appartenne alla famiglia Speciale e dal 1456 fino alla fine del feudalesimo fu proprietà della famiglia vicereale dei Moncada. Utilizzato come carcere nel XVIII secolo iniziò il processo di degrado e abbandono, ma dalla fine dell'Ottocento ha visto diverse campagne di restauro che gli hanno restituito l'antica possenza.L'edificio è a pianta rettangolare su quattro livelli e raggiunge un'altezza di 34 m. Dall'epoca sveva il maniero era coronato da una merlatura ghibellina (come si osserva nel seicentesco Disegno della veduta di Paternò nel "manoscritto Giordano") di cui allo stato attuale resistono solo dei monconi. Particolarmente interessante e gradevole l'effetto di bicromatismo che si crea tra il colore scuro delle murature e le cornici delle aperture in calcare bianco.

Al piano terra si trovano una serie di ambienti di servizio e la cappella di S. Giovanni ornata da pregevolissimi affreschi del XV secolo. Al primo piano il grande salone d'armi è illuminato da una serie di bifore. All'ultimo piano quattro grandi ambienti un tempo adibiti per l'abitazione del re sono disimpegnati da un vano delle dimensioni del salone sottostante e disposto trasversalmente ad esso, chiuso su entrambi i lati da due grandi bifore gotiche che dischiudono lo sguardo verso il Simeto e...

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2y

Il dongione fu costruito dai normanni nel 1072 per volontà del Gran Conte Ruggero per garantire la protezione della valle del Simeto dalle incursioni islamiche, e divenne il simbolo della città. Ruggero, avendo già assediato Catania (1071) e pensando di conquistare Centuripe, provvide nell'arco di pochi mesi alla costruzione del Castello per servirsene come difesa e come posizione tattica per l'eventuale resistenza araba. Il castello di Paternò faceva parte del "complesso sistema di difesa su cui si fondava la sicurezza del regno di Sicilia"1]. Il castello fu assegnato alla figlia di Ruggero, Flandrina, sposa dell'aleramico Enrico di Lombardia. Attorno al castello e al piccolo borgo la popolazione iniziò a crescere grazie ai numerosi mercenari al seguito dei conquistatori normanni e all'arrivo di coloni provenienti dall'Italia settentrionale attirati dai privilegi a loro concessi. Il primo nucleo del maniero fu ben presto ampliato e dalle primigenie funzioni prettamente militari fu utilizzato per usi civili, divenendo la sede signorile della Contea di Paternò che Enrico VI di Svevia assegnò nel 1195 al nobile di origine normanna Bartolomeo de Luci[2 consanguineo del sovrano svevo. Il Castello negli anni seguenti ospitò re e regine, tra i quali Federico II di Svevia, la regina Eleonora d'Angiò e la regina Bianca di Navarra. E per concessione di Federico II passò a Galvano Lancia. Il castello di Paternò e i territori sottoposti, infatti, furono inseriti nella cosiddetta Camera Reginale che venne costituita da Federico III d'Aragona come dono di nozze alla consorte Eleonora d'Angiò e che poi venne ereditata dalle Regine che si susseguirono, sino alla sua abolizione. Dopo il 1431 appartenne alla famiglia Speciale e dal 1456 fino alla fine del feudalesimo fu proprietà della famiglia vicereale dei Moncada. Utilizzato come carcere nel XVIII secolo iniziò il processo di degrado e abbandono, ma dalla fine dell'Ottocento ha visto diverse campagne di restauro che gli hanno restituito...

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4y

Del Castello a Paternò ad oggi rimane solo la torre principale, chiamata dongione, di un complessa fortificazione costruita nel 1072 su iniziativa del Gran Conte Ruggero De Hauteville, uno dei due artefici dell’invasione normanna, allo scopo di difendere il territorio e la loro dimora. Esso si configura come il maggiore dongione dei tre esistenti nella Valle del Simeto, ed è collocato secondo i punti cardinali, caratteristica questa che donerebbe al castello anche una la valenza di osservatorio astronomico. Ipotesi questa che non stupirebbe affatto se si pensasse che la corte di questo come di altri manieri, specialmente durante l’impero di Federico II di Svevia, pullulava di matematici e scienziati. Grazie alla sua valenza, oggi la torre è diventata il simbolo della Città di Paternò.

Costruita in conci di pietra lavica di pezzatura irregolare e malta, la torre rettangolare si staglia poderosa sulla parte più settentrionale della collina storica e si sviluppa su tre livelli principali, raggiungendo l’altezza di di 34 m. La pianta ha una forma di parallelepipedo irregolare di dimensioni...

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Michele PanassidiMichele Panassidi
simbolo della città, la torre faceva parte di un castello fatto edificare nel 1072 dal Gran Conte Ruggero per garantire la protezione della valle del Simeto dalle incursioni islamiche. Il castello fu assegnato alla figlia di Ruggero, Flandrina, sposa dell'aleramico Enrico di Lombardia. Attorno al castello e al piccolo borgo la popolazione iniziò a crescere grazie ai numerosi mercenari al seguito dei conquistatori normanni e all'arrivo di coloni provenienti dall'Italia settentrionale attirati dai privilegi a loro concessi. Il primo nucleo del maniero fu ben presto ampliato e dalle primigenie funzioni prettamente militari fu utilizzato per usi civili, divenendo la sede signorile della Contea di Paternò che Enrico VI di Svevia assegnò nel 1195 al nobile di origine normanna Bartolomeo de Luci[2][3] consanguineo del sovrano svevo. Il Castello negli anni seguenti ospitò re e regine, tra i quali Federico II di Svevia, la regina Eleonora d'Angiò e la regina Bianca di Navarra. E per concessione di Federico II passò a Galvano Lancia. Il castello di Paternò e i territori sottoposti, infatti, furono inseriti nella cosiddetta Camera Reginale che venne costituita da Federico III d'Aragona come dono di nozze alla consorte Eleonora d'Angiò e che poi venne ereditata dalle Regine che si susseguirono, sino alla sua abolizione. Dopo il 1431 appartenne alla famiglia Speciale e dal 1456 fino alla fine del feudalesimo fu proprietà della famiglia vicereale dei Moncada. Utilizzato come carcere nel XVIII secolo iniziò il processo di degrado e abbandono, ma dalla fine dell'Ottocento ha visto diverse campagne di restauro che gli hanno restituito l'antica possenza.L'edificio è a pianta rettangolare su quattro livelli e raggiunge un'altezza di 34 m. Dall'epoca sveva il maniero era coronato da una merlatura ghibellina (come si osserva nel seicentesco Disegno della veduta di Paternò nel "manoscritto Giordano") di cui allo stato attuale resistono solo dei monconi. Particolarmente interessante e gradevole l'effetto di bicromatismo che si crea tra il colore scuro delle murature e le cornici delle aperture in calcare bianco. Al piano terra si trovano una serie di ambienti di servizio e la cappella di S. Giovanni ornata da pregevolissimi affreschi del XV secolo. Al primo piano il grande salone d'armi è illuminato da una serie di bifore. All'ultimo piano quattro grandi ambienti un tempo adibiti per l'abitazione del re sono disimpegnati da un vano delle dimensioni del salone sottostante e disposto trasversalmente ad esso, chiuso su entrambi i lati da due grandi bifore gotiche che dischiudono lo sguardo verso il Simeto e verso l'Etna.
Wander lustWander lust
Del Castello a Paternò ad oggi rimane solo la torre principale, chiamata dongione, di un complessa fortificazione costruita nel 1072 su iniziativa del Gran Conte Ruggero De Hauteville, uno dei due artefici dell’invasione normanna, allo scopo di difendere il territorio e la loro dimora. Esso si configura come il maggiore dongione dei tre esistenti nella Valle del Simeto, ed è collocato secondo i punti cardinali, caratteristica questa che donerebbe al castello anche una la valenza di osservatorio astronomico. Ipotesi questa che non stupirebbe affatto se si pensasse che la corte di questo come di altri manieri, specialmente durante l’impero di Federico II di Svevia, pullulava di matematici e scienziati. Grazie alla sua valenza, oggi la torre è diventata il simbolo della Città di Paternò. Costruita in conci di pietra lavica di pezzatura irregolare e malta, la torre rettangolare si staglia poderosa sulla parte più settentrionale della collina storica e si sviluppa su tre livelli principali, raggiungendo l’altezza di di 34 m. La pianta ha una forma di parallelepipedo irregolare di dimensioni 24,30 x 18 metri.
gino vavallegino vavalle
Del Castello di Paternò ad oggi rimane solo la torre principale, chiamata dongione, si tratta di una complessa fortificazione costruita nel 1072 su iniziativa del Gran Conte Ruggero De Hauteville, uno dei due artefici dell’invasione normanna, allo scopo di difendere il territorio e la loro dimora. Si configura come il maggiore dongione dei tre esistenti nella Valle del Simeto, ed è collocato secondo i punti cardinali, caratteristica questa che donerebbe al castello anche una la valenza di osservatorio astronomico. Ipotesi questa che non stupirebbe affatto se si pensasse che la corte di questo come di altri manieri, specialmente durante l’impero di Federico II di Svevia, pullulava di matematici e scienziati. Grazie alla sua valenza, oggi la torre è diventata il simbolo della Città di Paternò.
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simbolo della città, la torre faceva parte di un castello fatto edificare nel 1072 dal Gran Conte Ruggero per garantire la protezione della valle del Simeto dalle incursioni islamiche. Il castello fu assegnato alla figlia di Ruggero, Flandrina, sposa dell'aleramico Enrico di Lombardia. Attorno al castello e al piccolo borgo la popolazione iniziò a crescere grazie ai numerosi mercenari al seguito dei conquistatori normanni e all'arrivo di coloni provenienti dall'Italia settentrionale attirati dai privilegi a loro concessi. Il primo nucleo del maniero fu ben presto ampliato e dalle primigenie funzioni prettamente militari fu utilizzato per usi civili, divenendo la sede signorile della Contea di Paternò che Enrico VI di Svevia assegnò nel 1195 al nobile di origine normanna Bartolomeo de Luci[2][3] consanguineo del sovrano svevo. Il Castello negli anni seguenti ospitò re e regine, tra i quali Federico II di Svevia, la regina Eleonora d'Angiò e la regina Bianca di Navarra. E per concessione di Federico II passò a Galvano Lancia. Il castello di Paternò e i territori sottoposti, infatti, furono inseriti nella cosiddetta Camera Reginale che venne costituita da Federico III d'Aragona come dono di nozze alla consorte Eleonora d'Angiò e che poi venne ereditata dalle Regine che si susseguirono, sino alla sua abolizione. Dopo il 1431 appartenne alla famiglia Speciale e dal 1456 fino alla fine del feudalesimo fu proprietà della famiglia vicereale dei Moncada. Utilizzato come carcere nel XVIII secolo iniziò il processo di degrado e abbandono, ma dalla fine dell'Ottocento ha visto diverse campagne di restauro che gli hanno restituito l'antica possenza.L'edificio è a pianta rettangolare su quattro livelli e raggiunge un'altezza di 34 m. Dall'epoca sveva il maniero era coronato da una merlatura ghibellina (come si osserva nel seicentesco Disegno della veduta di Paternò nel "manoscritto Giordano") di cui allo stato attuale resistono solo dei monconi. Particolarmente interessante e gradevole l'effetto di bicromatismo che si crea tra il colore scuro delle murature e le cornici delle aperture in calcare bianco. Al piano terra si trovano una serie di ambienti di servizio e la cappella di S. Giovanni ornata da pregevolissimi affreschi del XV secolo. Al primo piano il grande salone d'armi è illuminato da una serie di bifore. All'ultimo piano quattro grandi ambienti un tempo adibiti per l'abitazione del re sono disimpegnati da un vano delle dimensioni del salone sottostante e disposto trasversalmente ad esso, chiuso su entrambi i lati da due grandi bifore gotiche che dischiudono lo sguardo verso il Simeto e verso l'Etna.
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gino vavalle

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