Parco Asinara
La storia
Le testimonianze relative alla presenza umana nell’isola risalgono all’epoca neolitica e sono rappresentate dalle tombe ipogeiche, o domus de janas, situate nella zona di Campu Perdu. Alcuni testi di provenienza greco-romana la collegano al mito di Ercole che nei suoi viaggi avrebbe raggiunto la Sardegna e la stessa Asinara, un aneddoto che è all’origine di una delle sue denominazioni più antiche Herculis insula.
La sua posizione al centro del Mediterraneo l’ha resa per secoli un avamposto commerciale e un luogo di difesa. Frequentata prima dai romani – che le avrebbero attribuito anche il nome Sinuaria, per la sua forma frastagliata e sinuosa –, approdo dei Bizantini e delle popolazioni arabe, nel Medioevo diventa teatro degli scontri tra le repubbliche marinare per il controllo della Sardegna.
Dal 1100 e per diversi decenni è abitata da un gruppo di monaci Camaldolesi, un ordine benedettino che fonda il convento di Sant’Andrea. Dell’antica struttura, che prende il nome dall’area in cui è situata in origine, non rimangono oggi molte tracce tangibili. Dopo i decenni bui determinati dalle scorribande di corsari e pirati e segnate da diversi tentativi di colonizzazione, nell’isola prende finalmente forma la prima comunità stabile. Si tratta di pastori di origine sarda e di alcune famiglie di pescatori provenienti dalla Liguria e da varie parti dell’Italia.
Nonostante le difficoltà, dovute alla mancanza di risorse e dalla distanza dalla Sardegna, la comunità asinarese vive una fase di relativa tranquillità fino agli inizi dell’età moderna, quando il governo italiano prende una drastica decisione.
Nel 1885, dopo un lungo dibattito intellettuale e politico, alla Camera viene approvata la proposta per l’installazione di un lazzaretto e di una colonia penale agricola. Per far posto al progetto la popolazione viene forzatamente allontanata ed è costretta a lasciare indietro le proprie abitazioni e i terreni. Le famiglie si disperdono in varie zone della Sardegna settentrionale e alcune di queste si stabiliscono nell’area di Stintino, dove fondano l’omonimo villaggio.
Da questo momento l’Asinara è amministrata interamente dai due presidi. La colonia penale fonda il suo sistema e i suoi principi sul lavoro coatto dei detenuti ed è organizzata in una decina di diramazioni edificate in diversi momenti e dislocate su tutto il territorio. In esse la popolazione carceraria è divisa in base alla gravità dei reati e alle abilità: ciascuna struttura è infatti adibita a differenti attività produttive che sfruttano le caratteristiche del territorio, dall’allevamento, alla coltivazione di cereali e vite. Più tardi, nella fase di stabilizzazione della colonia, viene concesso ai detenuti al termine della pena o condannati per reati minori di svolgere attività specializzate come quella del calzolaio, del barbiere e del meccanico.
La Stazione Sanitaria Marittima Quarantenaria, invece, accoglie gli equipaggi delle navi che transitano nel Mediterraneo sospetti di aver contratto epidemie come colera e tubercolosi. Anch’essa è divisa in alcuni fabbricati denominati “Periodi”, dove i pazienti trascorrono le varie fasi di remissione della malattia. Rimane attiva fino al secondo dopoguerra, quando la maggior parte delle epidemie sono state debellate grazie ai progressi della medicina e al miglioramento delle generali condizioni di vita.
Nel primo Novecento, l’Asinara diventa anche un campo di prigionia.
Oggi 2024 le carceri sono chiuse, e si può visitare il parco che offre uno spettacolo immenso con tutta...
Read moreSiamo partiti dal porto di Stintino intorno alle 9:30, su una Defender 4x4 con la nostra guida, Fiorella. Preparata, gentile, appassionata: ci ha accompagnati per tutta la giornata raccontandoci l’isola dell’Asinara in modo autentico, preciso ma mai noioso. Rientro previsto intorno alle 17:00, e onestamente ne è valsa la pena fino all’ultimo minuto. L’Asinara è un posto che ti entra dentro. È selvaggia, silenziosa, potente. Oggi è Parco Nazionale e Area Marina Protetta, e infatti ogni zona ha regole di accesso diverse. Alcune aree sono completamente interdette, perfino dal mare, per tutelare gli ecosistemi più delicati. Si incontrano animali liberi ovunque, a cominciare dagli asinelli bianchi — tipici del posto — che camminano tranquilli sulle stradine sterrate. Poi ci sono falchi, gabbiani, cinghiali, capre selvatiche e una varietà di vegetazione mediterranea incredibile. Tutto intorno è natura viva, non toccata. Il mare? Difficile descriverlo senza sembrare esagerati. Colori pazzeschi, trasparenze che vanno dal verde chiaro al blu profondo. Soste panoramiche una più bella dell’altra. In un punto abbiamo fatto anche una pausa sotto l’ombra di un albero, con i piedi nella sabbia e l’acqua davanti calma come mai. Un angolo di paradiso senza rumori, senza fretta. ( Cala Sabina; strepitosa!) Ma l’isola non è solo natura. Ha anche un passato forte. Per decenni è stata colonia penale agricola e poi carcere di massima sicurezza. Le strutture carcerarie sono ancora lì, dismesse ma visitabili. Celle con le porte blu, lunghi corridoi vuoti, vecchie disposizioni di servizio appese alle pareti. Roba d’altri tempi. Fiorella ci ha raccontato tutto con grande attenzione, facendo emergere la storia delle persone, delle vite passate lì dentro. Siamo passati anche dove c’è una scultura che rappresenta il lavoro agricolo dei detenuti. Perché sull’isola si coltivava davvero: vigne, grano, foraggi, ortaggi. C’era un caseificio, un mulino, un sistema autosufficiente dove il lavoro forzato si inseriva in un’idea — almeno sulla carta — di recupero dei detenuti (proprio come dice l’articolo 27 della Costituzione, che è affisso su uno dei pannelli informativi: la pena non deve essere solo punizione, ma rieducazione.) Il giro in Jeep è stato il modo ideale per spostarsi. Le strade sono per lo più sterrate, a tratti sconnesse, ma niente di problematico con una guida esperta e un mezzo adatto. Abbiamo visto tanto, respirato tanto, ascoltato storie, fatto soste giuste, e mai di corsa. Se devo riassumere l’esperienza: intensa, vera, completa. Non è solo una gita in mezzo alla natura. È un’immersione dentro un luogo che ha avuto mille vite: ospedale, carcere, prigione di guerra, e oggi santuario di biodiversità e memoria. Se capitate da queste parti, fatevela. Portatevi acqua, scarpe comode, protezione solare. E lasciate a...
Read morePremetto che chi scrive è un sardo che ha a cuore la sua terra e che la valutazione di una sola stella non riguarda minimamente la bellezza del mare e del paesaggio, che indubbiamente ne merita cinque. Detto questo, per quanto l'Asinara sia un angolo di paradiso non si può rimanere indifferenti di fronte alla quasi totale disorganizzazione che la governa. Qualche giorno fa io e altri 5 amici abbiamo deciso di visitare l'isola e siamo partiti con il traghetto delle 8,15 da Porto Torres (unica soluzione fattibile, considerando che quello successivo sarebbe partito alle 11,30 e quindi troppo tardi). Il bar del traghetto era chiuso e già questo, a mio parere, è un disservizio non indifferente, vista l'inevitabile alta affluenza di persone. Una volta sbarcati sull'isola alle 9 e 30 circa, compriamo subito i biglietti della navetta per raggiungere Cala d'oliva, che sarebbe dovuta partire alle 10 e 10. Alle 9 e 55 decidiamo di entrare nel bar presente al molo per bere un caffé (chiamarlo bar è un grosso complimento) e alle 10 e 05 ci ripresentiamo nel punto in cui saremmo dovuti partire con le navette 5 minuti dopo, e qui l'amara sorpresa: le navette non c'erano più. Ci rivolgiamo ad un dipendente che si occupava del noleggio delle biciclette per chiedere spiegazioni. La sua risposta, con tanto di tono stizzito, è stata che le navette erano al completo e che quindi erano già partite, nonostante avessimo già fatto e pagato i biglietti con tanto di orario di partenza scritto. "I soldi ve li ridiamo oppure prendete la prossima navetta che parte fra un'ora", queste le sue parole. Dopo qualche minuto di discussione si è offerto di accompagnarci con un pullmino (mi sembra il minimo) ma non senza continuare a polemizzare dicendo "Dai vi accompagno io, sennò piangete", come se fossimo noi in torto per aver pagato un servizio che ci è stato negato. Potrei continuare a scrivere per parlare degli orari piuttosto discutibili delle navette (l'ultima per tornare da Cala d'oliva è alle 16,30, la prima e l'ultima per andare e tornare da Fornelli rispettivamente alle 11 e alle 15) ma credo sia abbastanza. Da sardo, mi metto nei panni di un turista che può vivere un'esperienza del genere e ritengo che non sia accettabile. È assurdo pensare che un posto così suggestivo possa essere gestito in...
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