Ci ero tornato per nostalgia. Me ne sono andato con rammarico.
Un paio d’anni fa, questo locale mi aveva conquistato al punto da segnarmi cosa avevo ordinato, per poter rivivere la stessa esperienza. Un’illuminazione di sapori, atmosfera e attenzione ai dettagli. Purtroppo, la mia recente visita ha avuto un sapore ben diverso. E non parlo solo del cibo.
Cucina deludente Il menù è cambiato (com’è giusto che sia) ma ciò che è arrivato in tavola non aveva nulla della cura, della qualità o dell’originalità che ricordavo. Piatti dozzinali, senza anima. Non ho trovato i sapori che mi avevano colpito e, quel che è peggio, quelli nuovi non avevano alcuna personalità. Un cambio di chef, forse?
Cocktail? Una regressione Ho ordinato gli stessi cocktail che due anni fa mi avevano stupito per equilibrio e originalità (più uno nuovo). Stavolta, però, erano stucchevoli, pesanti, e davvero poco piacevoli. Il blocco di ghiaccio rimane molto grosso rispetto al bicchiere, ma se prima il resto era qualcosa di straordinario, ora sembra solo un espediente estetico per nascondere la quantità esigua. Anche qui, viene da chiedersi: il barman è lo stesso?
Menù digitale: bello ma poco utile Il nuovo menù con lo sfondo animato ha il suo fascino visivo, ma manca chiarezza. Un passo indietro in termini di user experience: chi cerca sapori e accostamenti si trova a dover navigare in un’interfaccia poco intuitiva. Prima invece i cocktail erano addirittura organizzati per sapori (ad esempio c'era la sezione Umami, etc.)
Servizio: tra non professionalità e nervosismo Il vero colpo al cuore, però, è stato il servizio. Un cameriere (occhiali, barba brizzolata, occhi azzurri) si è mostrato scontroso e insofferente fin dal primo scambio. Nessuna spiegazione, nessun consiglio, solo risposte monosillabiche e un tono infastidito. Peccato, perché due anni fa eravamo stati seguiti da un collega che aveva saputo illustrare e valorizzare ogni portata, consigliando i cocktail da accostare con professionalità e passione.
Prenotazione online: non un tavolo ma al bancone Forse è andata così male perché la situazione si è inasprita appena arrivati, quando, nonostante la prenotazione di un tavolo, volevano farci sedere al bancone – vicino agli spillatori – sostenendo fosse il posto “vip”. Alla mia ripetuta richiesta di un tavolo normale (il locale era vuoto!), ci è stato finalmente concesso un tavolo con un limite di 90 minuti. L’atteggiamento di quello che è stato poi il nostro cameriere, da quel momento, è diventato visibilmente scostante. “Non capisco cosa ha il bancone che non va.” – mi ha chiesto, con tono scontroso (che poi… davvero c’è bisogno di spiegare la preferenza?). In ogni caso, da lì in poi, nessun sorriso, nessuna gentilezza. Ma attenzione: solo con noi. Con il tavolo accanto al nostro lo stesso cameriere era persino scherzoso.
Ciliegina amara Durante la cena, lo schienale della sedia in metallo ha strappato la mia camicia. Lo stesso è successo alla ragazza seduta accanto a noi. Colpa dell’arredamento, certo, ma un dettaglio che non aiuta a migliorare la percezione generale.
Note positive Va detto: il barman e un secondo cameriere sono stati gentili e disponibili. E alla fine, dopo aver pagato 135 euro, ci è stato offerto persino un mini-shot di sake a testa. Un piccolo gesto, che ho apprezzato.
In sintesi: un’esperienza che avevo nel cuore si è trasformata in una delusione. È evidente che qualcosa è cambiato (forse lo staff, forse la direzione) ma ciò che più dispiace è vedere un posto con un tale potenziale perdere smalto e anima.
Un consiglio sincero allo staff: curate i dettagli come un tempo. L’eccellenza non sta solo nel piatto, ma nell’insieme. Perché è davvero un peccato vedere spegnersi così un’esperienza che poteva...
Read moreAtmosfera moderna e invitante, discretamente stilosa, di quelle che ti fanno sentire nel posto giusto, ottima metafora della personalità del bar e della cucina di questa izakaya milanese-contemporanea. Tra i tavolini per due e quelli, più grandi, dove può capitare facilmente di trovarsi fianco a fianco con altri avventori, raccomanderei forse i secondi, ma è questione di gusto personale. Nell'infinita proposta di bevande ho optato per un Gaijin Americano e un fuori menù, l'Hagakure, rivisitazione dell'Old Fashioned, entrambi a un onestissimo prezzo di nove euro: paradisiaco il primo, tanto da entusiasmare persino la mia ragazza - ed è astemia - buono il secondo, ma ammetto di aver bevuto Old Fashioned normali ben superiori a questo. Del menù si apprezzano molte cose, in primis la scelta di rimandare molti piatti (soprattutto quelli a base di pesce) alla disponibilità giornaliera del mercato e la presenza estensiva di fuori menù, che fanno ben sperare nella freschezza e nella ricerca delle materie prime. Con ordine: Kanpai Salad: buon inizio, intriganti i somen fritti come tocco croccante, ma a mani basse la portata meno interessante della serata. Un solo uovo di quaglia in una ciotola di insalata è decisamente troppo poco; Okonomiyaki: primo fuori menù, pancetta un po' poco presente, ciononostante tra i migliori finora assaggiati in Italia; Karaage: cottura impeccabile, anche qui siamo ai vertici qualitativi di questo piatto in Italia. Ottima anche la maionese aromatizzata di accompagnamento (allo yuzu kosho? Onestamente non ricordo); Sashimi del giorno: la portata più cara del menù, ma anche la riprova definitiva che chef Masaki sa maledettamente bene il fatto suo; Nigiri di wagyu: il meglio di questa già memorabile serata, talmente buono che sconsiglierei di ordinarne più di una porzione, pena il rischio di svilire il ricordo di un'esperienza gustativa che, giuro, lascerà il segno; Natto per vincere: dopo il manzo più pregiato al mondo che fai, non ti senti in vena di avventure? L'assaggio è consigliato ai clienti già scafati in materia di cibo fermentato, la porzione potrebbe risultare eccessiva per i deboli di cuore. In ogni caso non è malvagio come la sua fama fa credere, anzi buono e interessante, ma il caveat è d'obbligo; Soba: la serata si conclude con noodles di grano saraceno freddi, preparati a regola d'arte e serviti con tenkasu (fiocchi di pastella di tempura), alghe, funghi freschi, cipollotto e semi di sesamo, aggiunte delicate che donano una discreta e piacevole varietà alla degustazione senza sovrastare i protagonisti assoluti del piatto (come è giusto che sia), i soba da intingere in un condimento a base di salsa di soia e brodo dashi. Da manuale. Servizio estremamente gradevole, camerieri sempre pronti a spiegare con dovizia di dettagli ogni piatto o bevanda che possiate ordinare e di una cordialità non scontata. I prezzi delle singole portate sono, si diceva, molto onesti, il rapporto q/p non è in discussione, siate però preparati al fatto che, come da tradizione in un locale di questo tipo, nessuna di esse da sola basterà a saziarvi. Molti dei clienti intorno a noi avevano l'aria degli habitué, e non è facile indovinare perché: quando tutto sembra già detto e fatto a proposito della cucina giapponese a Milano, Kanpai alza l'asticella, e a forza di ingredienti freschi e fuori menù, e in generale di un'offerta fuori dal comune, lascerai il locale di via Melzo sapendo che è l'inizio di una promettente e, gli auguro,...
Read moreMi trovo purtroppo costretta a lasciare una recensione negativa per il servizio ricevuto da parte di un cameriere. Ci tengo a precisare che il ragazzo con occhiali e barba brizzolata si è dimostrato particolarmente maleducato, scontroso e arrogante per tutta la durata della nostra serata. Ero con altri sei amici, entusiasta di provare un locale che mi era stato consigliato per i suoi piatti originali e innovativi. Purtroppo, l’esperienza è stata rovinata da atteggiamenti a tratti imbarazzanti e da una totale mancanza di professionalità. Gli altri due ragazzi in sala — in particolare il cameriere più alto — hanno cercato in tutti i modi di compensare l’atteggiamento del collega, ma contenere certi modi è stato impossibile. fin da subito, a partire da semplici richieste come della salsa di soia, un paio di bacchette o due calici extra per permettere a due amici, che avevano ordinato un cocktail, di assaggiare il Franciacorta scelto dal tavolo. Ma l’episodio più spiacevole è avvenuto a fine cena: una mia amica aveva ordinato un piatto a base di sgombro che non ha particolarmente gradito, lasciandolo quasi intatto. Il cameriere, vedendolo, si è avvicinato e ha detto in tono seccato: “E questo? Perché è così?”. Abbiamo cercato di spiegare gentilmente che il piatto era buono, ma semplicemente non terminato perché eravamo pieni. La sua reazione? Ha preso il piatto e lo ha letteralmente lanciato sul tavolo accanto, come fosse un frisbee. Ha sparecchiato senza neanche chiederci se desiderassimo un dessert o un amaro — cosa che, tra l’altro, avremmo voluto ordinare. Quando un collega si è avvicinato per chiedere se potevano togliere tutto, lui ha risposto bruscamente: “Sì, togli tutto”. Alla cassa, stanchi di questa continua maleducazione, abbiamo fatto notare che il suo comportamento non è adeguato per chi lavora a contatto con il pubblico. La risposta? “Non è un mio problema”, pronunciata con lo stesso tono arrogante che ha mantenuto per tutta la serata. Ho quindi chiesto se fosse il titolare, informandolo che avremmo lasciato una recensione. La sua reazione è stata: “No, fate pure”. Credo che chi è frustrato e incapace di gestire il rapporto con i clienti non dovrebbe ricoprire ruoli a contatto con il pubblico. Ed è un vero peccato, perché il locale ha ottime potenzialità, soprattutto grazie alla cucina e al resto del personale, a cui rinnoviamo i nostri complimenti per la gentilezza. Tuttavia episodi come questo rovinano completamente...
Read more